10.3 La fabbricazione dei canestri
Le mani delle donne esprimevano, dunque, non solo abilità e pazienza ma anche una grande forza creatrice, frutto del poco tempo che rimaneva libero dalle enormi fatiche quotidiane.

Creazioni, sono in effetti, i canestri che le donne materane intrecciavano con gli steli delle spighe-resticce, rimasti dopo la mietitura: privati dell'involucro esterno, gli steli erano messi a bagno in una vaschetta di legno.

Quando erano divenuti sufficientemente flessibili, si poteva iniziare la lavorazione del canestro. Per uno di media dimensione, si uguagliavano ad un'estremità quattro o cinque steli, che venivano stretti da un altro stelo con spirali serrate, facendo attenzione a non creare spigoli e sporgenze.

Il piccolo fascio veniva girato in forma di cerchio o di ellisse, secondo la destinazione d'uso del cesto. Ogni giro era fissato con un nuovo stelo che attraversava il fascicolo in un foro fatto con la suglia, una sorta di punteruolo. Un capo del piccolo fascio era chiuso con un punto di cucitura, con l'altro, invece, libero, si proseguiva l'avvolgimento esterno.

Pian piano gli steli iniziali erano completamente avvolti e si procedeva con altri: di giro in giro si formava il fondo del canestro. Angolando più verticalmente i punti di cucitura si avviava il calibro del bordo ed a seconda della profondità si continuava per quattro o cinque tornate.

L'opera si ultimava lasciando finire progressivamente gli steli fino a lasciarne tre o quattro: allora si fissavano quelli terminali ed il canestro era pronto.

La tecnica di lavorazione era sempre uguale, ma l'aspetto, la consistenza e l'ampiezza erano affidati al "genio" della donna creatrice.